“Pochi ma buoni, ieri sera al Cotton Pub di Copertino.
Pubblico molto motivato e partecipe, che dimostrava voglia di divertirsi.
E quando è così anche tu hai delle motivazioni per dare il meglio,
cosa che è pienamente riuscita.
Ora, lo so che quello che sto dicendo odora di conflitto d'interesse,
ma sono ormai abbastanza disincantato per poter essere sincero impunemente:
lo spettacolo dei BàshaKa Indie meriterebbe maggiore attenzione,
maggior seguito, e non per un fatto puramente numerico. Sentite a me.”
(Pasquale Chirivì - Facebook 30 marzo 2019)
Amici Miei,
mi sta capitando di sperimentare, negli ultimi tempi, una situazione di disagio mia personale che avevo già sperimentato a inizio carriera, in forma simile ma in sostanza diversa, e che non mi capitava più di sperimentare, appunto, da inizio carriera: la paura che poca gente (o nessuno) si presenti al mio spettacolo. All’epoca la paura era motivata dal fatto che non ero conosciuto, che il cabaret stesso era poco praticato e la gente non era abituata a vederlo nei locali. Posso affermare senza tema di smentita di essere nel gruppo dei comici che hanno aperto la strada al cabaret nel Salento. Nel 1996, oltre a me, c’erano gli 850 Special di Sergio Orlanduccio e soci, c’era Joselito, che era già una star televisiva, e, credo, nessun altro (è possibile che la mia anziana memoria stia cominciando a perdere colpi). Ricordo le meravigliose serate al “Dylan Dog” di Neviano, al “Nadir” di Castrignano dei Greci, al “Berimbau 2” di Maglie. Una stagione di cabaret al mitico “Cabiria” di Lecce in cui eravamo gli unici cabarettisti locali in mezzo a un battaglione di gente che veniva da Zelig. Insomma, era normale che avessi paura di fare flop. E invece mi andò benissimo, talmente bene che su quelle fondamenta lì ho costruito la mia carriera ormai quasi venticinquennale di “cabarettista locale”.
mi sta capitando di sperimentare, negli ultimi tempi, una situazione di disagio mia personale che avevo già sperimentato a inizio carriera, in forma simile ma in sostanza diversa, e che non mi capitava più di sperimentare, appunto, da inizio carriera: la paura che poca gente (o nessuno) si presenti al mio spettacolo. All’epoca la paura era motivata dal fatto che non ero conosciuto, che il cabaret stesso era poco praticato e la gente non era abituata a vederlo nei locali. Posso affermare senza tema di smentita di essere nel gruppo dei comici che hanno aperto la strada al cabaret nel Salento. Nel 1996, oltre a me, c’erano gli 850 Special di Sergio Orlanduccio e soci, c’era Joselito, che era già una star televisiva, e, credo, nessun altro (è possibile che la mia anziana memoria stia cominciando a perdere colpi). Ricordo le meravigliose serate al “Dylan Dog” di Neviano, al “Nadir” di Castrignano dei Greci, al “Berimbau 2” di Maglie. Una stagione di cabaret al mitico “Cabiria” di Lecce in cui eravamo gli unici cabarettisti locali in mezzo a un battaglione di gente che veniva da Zelig. Insomma, era normale che avessi paura di fare flop. E invece mi andò benissimo, talmente bene che su quelle fondamenta lì ho costruito la mia carriera ormai quasi venticinquennale di “cabarettista locale”.
Con uno stacco kubrickiano, saltiamo direttamente dai primi anni 2000 al 2019.
Ormai sono un cabarettista affermato, riconosciuto, apprezzato, ho potuto
dedicarmi a progetti di tipo diverso, perché la mia creatività non si può
fermare solo alla comicità in dialetto. Ho tirato fuori, contemporaneamente e
forse in maniera troppo repentina, un numero piuttosto elevato di mie sfaccettature
pressoché ignote ai più (ma ben note ai più intimi), che mi hanno visto
protagonista di: una tribute dedicata a Sting, una dedicata ai Pooh, una cover
un po’ sui generis di rock italiano, e naturalmente i BàshaKa Indie, ovvero
quella che io considero l’evoluzione naturale del Baccassino cabarettista,
nonché la sintesi tra il Baccassino cabarettista e il Bac musicista. Ora...
chiedo scusa se lo faccio, ma per un momento lasciatemi spogliare della mia ben
nota umiltà e mandare a farsi friggere la mia motivata modestia: io credo
proprio di essere bravo nel mio lavoro. Al netto di qualche sbavatura
nell’esecuzione, dovuta soprattutto all’invecchiamento dei miei neuroni, alla
scarsa fluidità del sangue nelle arterie (a causa della quantità eccessiva di colesterolo
nell’organismo), nonché allo scarso numero di presenze in sala prove, quando
faccio una cosa la faccio bene. Vabbè, diciamo non la faccio peggio di tanti
altri (e così diamo anche un colpo di superbia).
E allora perché sto sperimentando questa sensazione di
disagio? Sono vecchio? Sono superato? Dovrei darmi al trap? Dovrei darmi al
trappito? Sulla qualità della mia proposta continuo ad avere pochi dubbi:
d’altro canto magari il teatro è vuoto o gli avventori nei locali latitano, ma
quelli che ci sono si divertono, si sganasciano durante le serate di cabaret,
cantano durante le serate musicali, si complimentano alla fine. Ok: l’amor
proprio da questo punto di vista è salvo. Ma quindi il problema è proprio che
la gente non va più nei locali o a teatro? O organizzo le serate nei giorni
sbagliati? Nei posti sbagliati? Devo decidermi a fare televisione? Ho perso il
mio appeal? Vuoi vedere che sono diventato il frigorifero vecchio della casa al
mare? Quello di cui poco ti interessa, tanto è per la casa al mare: chi se ne
frega che non sia un Classe A+++? Me la sarò meritata un po’ di fiducia dopo 23
anni di cabaret? E 34 anni di carriera in totale? (Ebbene sì: ho esordito a 12
anni). Tengo a precisare che non mi sto piangendo addosso: questa rubrica si chiama
Bac-Stage, e tutti questi pensieri, questo rimuginare, farsi domande,
analizzare, verificare i dati, dare uno sguardo d’insieme, fa tutto parte del
lavoro dietro le quinte di un artista. È quello che fanno i cuochi quando si
rendono conto che il loro ristorante sta fatturando di meno. Il fatto è che io
non ho nessun Cannavacciuolo disponibile a rifarmi il look del locale e a
cambiarmi il menù, devo arrangiarmi da solo. In tutto questo mi viene in aiuto
una cosa che mio padre, Mesciu Lelè
in persona, diceva a proposito delle impalcature su cui usava arrampicarsi
quando faceva l’intonacatore: “L’andita ha ballare, ca ci no balla mpanni e
cati!” - Traduco per quelli Abbiate Grasso: “L’impalcatura non deve essere
fissata a terra in maniera troppo efficace, deve dondolare, deve essere
instabile, perché se non dondola, se ti dà troppa sicurezza, rischi di
addormentarcisi sopra e quindi cadere giù.”
Ecco, avete vissuto con me una classica domenica mattina
lavorativa baccassiniana: grafici, dati, misure e contromisure: ora sono pronto
a iniziare una nuova settimana all’insegna del “Travelling throughout the
Salento” per fare le mie proposte a locali, teatri e comitati festa. Se ne
conoscete qualcuno, fate il mio nome. Se fate parte di uno e mi vedete
arrivare, abbiate fiducia. Se vedete manifesti e locandine dei miei spettacoli,
se posso permettermi in particolare quelli dei BàshaKa Indie, Solo Cari
Ricordi, Bellimbusti e Kings Of Pain, venite a trovarci: non ve ne pentirete!!!
______________
Buona Giornata,
Bac
Buona Giornata,
Bac
I BàshaKa Indie in concerto
Credits: Pasquale
Chirivì, Roberto Duma,
Toni Nichil,
Marcello Greco,
Maurilio
Gigante, Anna Rita
Luceri, Cotton Pub Copertino, Fabio Fanales del Cabiria, Luca del
Nadir, i ragazzi del Dylan Dog, Fabio della “Frizzarte”, Il Berimbau 2, ma
anche il Candle di Lecce e OVVIAMENTE Eugenio
Lepore del Menamé di Nardò, che non rientra nella nota solo perché
presto ne arriverà una dedicata esclusivamente a lui.
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