Amici Miei,
i tragici
fatti di Parigi del 13 novembre scorso mi hanno impedito finora di parlare di
una cosa meravigliosa che è accaduta proprio venerdì scorso, proprio negli
stessi momenti: il concerto dei BàshaKa Indie alla Corte de’ Miracoli di
Maglie.
C’erano
tutte le premesse per una grande serata: 1) il pubblico giusto, quello che ride
nei momenti giusti, che ti segue con attenzione, che ti supporta nei momenti di
defaillance; 2) l’atmosfera perfetta, la voglia del pubblico pagante di
assistere a uno spettacolo che ci si aspetta divertente, e la nostra voglia di
offrire una performance all’altezza della situazione. Non per niente
diversamente dal solito eravamo anche vestiti in gran spolvero. Non che di solito si suoni in ciabatte e
canottiera, ma l’altra sera ci abbiamo tenuto a indossare l’abbigliamento
“adatto” a una sala da concerto. Cosa che ovviamente nel nostro caso non può
non risultare ironica e autoparodistica. 3) La location, quel gioiellino che è
la Corte de’ Miracoli, nascosto dietro una traversa qualsiasi, pericolosamente
vicina all’abitazione di un personaggio piuttosto noto.
Non so
neanche per quanto tempo abbiamo suonato, Pasquale, Roberto e io, a me è
sembrato un secondo e mezzo... tutto così scorrevole e liscio, pieno di momenti
di improvvisazione pura con battute nate lì, nel momento, grazie al pubblico e
alla location e all’atmosfera. Peccato che molte di quelle battute
probabilmente non le ricorderemo per poterle incorporare nei prossimi
spettacoli... Già mentre montavamo la strumentazione nel pomeriggio il tasso di
cialtronaggine era altissimo. Insomma, la serata perfetta.
Poi, si
riaccendono le luci in sala, si chiacchiera un po’ con gli amici, e si viene a
sapere la notizia: “C’è stato un attentato a Parigi, si parla di 16 morti”. In
quel momento non sai cosa dire... Si corre subito al cellulare per cercare su
internet qualche notizia. Poi si va in pizzeria a mettere qualcosa nello
stomaco e qualcuno chiede di cambiare canale alla tv che manda in onda i soliti
videoclip musicali. Altro che 16 morti. E si cena in silenzio. E si va a casa e
si passa la notte davanti al computer (io non ho tv) guardando e riguardando
quei video girati col telefonino, si avverte sotto la pelle la disperazione. E
si fanno pensieri da persona “abituata” agli attacchi terroristici. Perché la
valanga di emozioni e pensieri contrastanti l’hai già provata quindici anni fa
e hai avuto tempo e modo per fare una scrematura, per capire che non devi
cascare nella trappola. Perché la prima cosa che ti viene in mente è:
ammazziamoli tutti. Poi però ti ricordi di cosa è successo l’altra volta,
quando per 3000 americani morti in mezz’ora, 500mila iracheni, il 90% dei quali
totalmente innocenti, bambini, donne, vecchi, bambini, bambini, bambini... sono
stati ridotti in polvere in un’operazione chiamata “Libertà in Iraq”! E infatti
due giorni dopo gli attacchi di Parigi, la Francia bombarda la Siria. Quanti
terroristi sono morti? Quanti innocenti?
In tutto
questo, io, col mio essere me stesso, con il mestiere che faccio, io dove mi
pongo? Cosa posso fare io? Come posso leggere il fatto che mentre io facevo
divertire 60 persone, a neanche 2000 chilometri di distanza succedeva
l’impensabile? In una città che ho visitato solo pochi mesi fa, dove mi sono
fatto una meravigliosa foto in “Rue du Bac”, nella stessa città dove si trova
la Corte de’ Miracoli, quella raccontata da Victor Hugo. In questi casi si dice
sempre che l’unica cosa che una persona può fare è fare del suo meglio. Io lo
stavo facendo del mio meglio, mentre tutto accadeva: è servito a qualcosa?
E
ripensandoci, stavo facendo del mio meglio nel 2001? E pensandoci ancora
meglio, sto facendo del mio meglio in questo momento? Perché anche in questo
preciso istante, quello in cui io scrivo o quello in cui voi leggete, un
bambino sta morendo ucciso da una bomba, o dal fatto che la guerra gli
impedisce di mangiare. Perché tutti mettiamo bandiere a mezz’asta e candele ai
balconi quando c’è un attentato, purché sia a Parigi si intende. Non mi ricordo
molte candele accese il giorno dell’attentato in Kenya, e non vedo candele
accese tutti i giorni per le quotidiane vittime delle guerre. Ed ecco che, come
dice la canzone dei Pearl Jam che ho postato sul mio profilo Facebook, mi viene
da pensare che viviamo una vita molto fragile e che il pensiero di come la
viviamo felici e spensierati mentre la morte ci sovrasta potrebbe sopraffarmi,
se ci pensassi troppo. Ma la canzone si conclude con un pensiero positivo:
penso al tuo volto e la paura se ne va. E forse è proprio questo che serve.
Alzare gli occhi dalla tastiera, guardare il mio splendido giardino fuori,
sentire l’odore delle cicorie quasi pronte per essere servite, e provare col
mio lavoro a fare più del mio meglio. Fare qualcosa di utile. Ridere è utile, e
mi sento benedetto per il fatto di dare un’ora di gioia alle persone che io lo
so hanno le mie stesse preoccupazioni e anche di peggiori. Ma quello che vorrei
davvero è far ridere il Califfo, farlo ridere davvero, farlo scompisciare dalle
risate, o “sbordellare”, come mi dicono spesso, farlo rotolare per terra dalle
risate, per fargli capire che dovrebbe già ringraziare il suo Dio per essere
vivo e in salute, e che togliere la salute e la vita agli altri non salverà
nessuno.
Bac
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